Un'analisi a cura dell'Aineva, adattamento di Alessio Grosso.
Nel territorio italiano, la distribuzione della neve è estremamente variegata ed irregolare; in generale però, sia la quantità media stagionale o annuale di neve fresca caduta, sia la frequenza del fenomeno, sia la permanenza della neve al suolo aumentano in funzione della quota, della latitudine, e dal versante di appartenenza del sito mentre altri parametri come la distanza dal mare giocano un ruolo spesso diametralmente opposto.
Tuttavia, mentre nelle aree prealpine, la quota media relativamente modesta e le frequenti avvezioni di aria mediterranea favoriscono una accelerata ablazione del manto nevoso sin dall'inizio della primavera cosicché la permanenza della neve al suolo risulta essere relativamente breve - nelle seconde, invece, la neve, in virtù della notevole continentalità termica, rimane al suolo per un periodo molto prolungato.
Anche in queste ultime aree tuttavia dopo
A tale regola fa eccezione il settore friulano (Alpi Carniche e Giulie) caratterizzato da
In tal senso, numerosi sono gli studi che dimostrano la notevole variabilità del fenomeno, inteso sia come variazioni dei quantitativi che della frequenza di giorni nevosi, a tal punto che questa irregolarità del fenomeno determina cambiamenti nei regimi nivometrici anche a brevi distanze.
Relativamente ai valori inerenti l'altezza massima della neve caduta in 24 ore - occorre sottolineare che i valori in assoluto più elevati vengono registrati nell'Appennino abruzzese-molisano ed in quello campano, con il record di Capracottacon un cumulo giornaliero di 150 cm. In realtà però, da effettuazioni di misure ufficiali, anche se non disponibili negli annali idrologici, nella località di Roccacaramanico (Alta Valle d'Orta - massiccio della Maiella-Morrone) il 15 gennaio 1951 si misurarono ben 181 cm di neve, record assoluto per l'intero territorio nazionale.
Nell'Appennino irpino invece, al santuario di Montevergine, immediatamente sopra la città di Avellino, ad una quota di poco superiore ai 1200 metri, sono caduti sino a 145 cm in 24 ore.Cumuli superiori ai 100 cm si registrano con relativa frequenza, oltre che nelle appena citate località, anche nei siti di Campitello Matese, Castiglione Messer Marino e Passo San Leonardo, tutte ubicate nell'Appennino abruzzese-molisano a quote comprese tra 1200 e 1500 metri.
A tali quote nell'area alpina i quantitativi massimi non superano generalmente i 90 cm nelle 24 ore.Per rilevare quantitativi simili occorre salire oltre i 2000 metri quota dell'optimum nivometrico. In tal senso i massimi valori registrati sono di 160 cm circa a Passo Falzarego (BL) 2107 m, e 140 cm circa di a Passo Spluga (SO). Valori simili, oltretutto spesso ricorrenti, si osservano nell'area del Canin (UD) e di Falcade (BL).
Questa sorprendente peculiarità è chiaramente derivante dal regime nivometrico mediterraneo delle montagne abruzzesi; durante il periodo più freddo - vale a dire tra l'inizio di dicembre e la fine di febbraio - nell'area appenninica centro-meridionale esiste una notevole disponibilità di vapore acqueo proveniente dai vicini mari che presentano temperature superficiali molto elevate. A livello nazionale inoltre, tutti i siti interessati da notevole nevosità debbono tale caratteristica anche alle conformazione orografiche delle rispettive valli, aperte alle correnti nord-orientali in Appennino e a quelle meridionali nel dominio alpino con relative situazione di convergenza, sollevamento e successivo stau orografico.
Ai distretti montani della Maiella e del Gran Sasso spetta anche il primato delle maggiori altezze della neve fresca cumulate durante mesi notoriamente eccezionali (febbraio 1929, gennaio 1956 e 1963). In quest'ultimo caso i valori più abbondanti si registrarono addirittura nell'Appennino calabrese (Camigliatello Silano 235 cm, Trepidò 241 cm) e sui Nebrodi messinesi (Floresta 349 cm).
I giorni con caduta apprezzabile di neve variano meno sensibilmente rispetto ai valori inerenti i quantitativi, in virtù del fatto che comunque le condizioni sinottiche a meso-scala determinano fenomeni, pur se di differente intensità, anche in aree aventi particolari condizioni microclimatiche. In ultima analisi, riferendosi alla frequenza delle precipitazioni nevose è possibile tracciare un quadro sintetico e largamente indicativo relativamente alla frequenza del fenomeno per alcune aree climatologiche riconosciute come omogenee.
Analisi della nevosità - Relativamente alla ripartizione mensile delle nevicate si nota come essa sia estremamente diversificata e significativamente relazionabile con la distribuzione meteorica mensile e con le temperature medie mensili. In tutte le aree pianeggianti del nord e nelle valli alpine ed appenniniche a quote inferiori ai 1000 - 1300 metri, le nevicate sono più frequenti ed abbondanti in gennaio o in febbraio per decrescere abbastanza rapidamente in autunno ed in primavera. A quote lievemente superiori - ovverosia tra i 1300 ed i 1600 metri circa - prevale un regime equilibrato, caratterizzato da apporti nevosi equivalenti nei tre mesi invernali.
Tra i 1500 ed i 2000 m il regime diviene bimodale con autunno e primavera piuttosto nevosi inframmezzati da un calo anche notevole dei fenomeni in gennaio e febbraio.Oltre i 2000 m si osserva un irregolare crescendo delle nevicate dall'autunno sino alla primavera, stagione che risulta essere particolarmente nevosa in virtù della ripresa delle precipitazioni dopo il minimo invernale pur con temperature sufficientemente basse. Occorre comunque sottolineare che tali limiti altimetrici variano sensibilmente anche a brevi distanze; essi risultano generalmente un poco più bassi nelle valli più interne e nelle Alpi tridentine in virtù della maggiore continentalità. Nella catena appenninica prevalgono quasi ovunque il regime unimodale invernale e quello equilibrato sino ai 1800 m; oltre tale quota si passa ad un regime bimodale primaverile.
Ulteriori osservazioni importanti: relativamente all'altezza della neve fresca si evince che nell'area alpina i quantitativi aumentano di circa 17 cm/100 metri di quota mentre nell'Appennino tale aumento si attesta intorno ai 14 cm/100 metri. Non si osservano invece differenze notevoli nel numero dei giorni con precipitazioni nevose.
Relativamente alle tendenze più che ventennali del fenomeno, è evidente un differente tipo di segnale tra il dominio alpino-padano - nel quale si assiste ad un calo generalizzato dei totali annui o stagionali spesso significativo e confermato da numerosi studi effettuati a scala regionale e in quello appenninico - ove si registrano situazioni discordanti con cali anche sensibili della nevosità nelle aree insulari e nel settore settentrionale adriatico, comprese le aree pedappenniniche e pianeggianti, ai quali si contrappongono segnali poco significativi nell'Appennino centrale ed aumenti locali come nell'area calabrese o generalizzati come nel dominio molisano-irpino-lucano.
Occorre però ricordare nuovamente che nelle ultime stagioni, caratterizzate da una sensibile variabilità sinottica, si osserva una consistente ripresa dei fenomeni specie nel settore appenninico centrale in inverno e nell'arco alpino orientale in primavera.
Il numero di giorni con permanenza della neve al suolo mostra un generale calo, più evidente alle quote più elevate e proporzionalmente più elevato rispetto al calo della nevosità per cui è facile ipotizzare un legame con il comprovato aumento delle temperature medie, ed in particolare di quelle primaverili sul settore alpino, specie in quello orientale. •
La frequenza delle precipitazioni nevose varia dunque da luogo a luogo, prevalentemente in relazione alla differente situazione dell'ambiente fisico intorno a ciascun sito di rilevamento (presenza di rilievi più o meno elevati, esposizione, ampiezza e direzione media delle valli ecc). La notevole estensione latitudinale della penisola unita ad una morfologia quanto mai irregolare e alla presenza della catena montuosa alpina ed appenninica nonché di locali rilievi a breve distanza da mari con opposte caratteristiche - come l'Adriatico più continentale ed il Tirreno più oceanico- determinano, dunque, una caratterizzazione quanto mai variegata delle condizioni di innevamento medie.
Si passa da aree come i litorali generalmente ubicati al di sotto della linea ipotetico-convenzionale Roma - Termoli (CB) in cui il fenomeno è quantificabile in 3-4 giorni per decennio alle aree sommitali delle Alpi valdostane dove si contano oltre 75 giorni di neve all'anno.
Fonte: meteolive